L’11 maggio 1981 moriva Bob Marley.

«Non ho avuto padre. Mai conosciuto… Mio padre era come quelle storie che si leggono, storie di schiavi: l’uomo bianco che prende la donna nera e la mette incinta.»

Robert Nesta Marley nacque nel 1945 da Norval Sinclair Marley, un giamaicano bianco di origini inglesi, e Cedella Booker, futura cantautrice e scrittrice di colore giamaicana, che sarebbe stata presto abbandonata dal marito.

Da giovane fu vittima di pregiudizi razziali, venendo chiamato “mezzosangue”, e la questione razziale rimarrà centrale per lui per tutta la vita. Trasferitosi con la madre a dodici anni a Trenchtown, sobborgo di Kingston, capitale della Giamaica, conobbe il degrado estremo ed entrò in contatto con i cosiddetti rude boys, giovani che mal sopportavano la marginalizzazione rispetto alla società, rifiutando il lavoro e compiendo piccoli crimini per sopravvivere. Bob tuttavia non si mescolò mai a loro, anzi, attraverso le sue canzoni cercò di allontanarli dalla violenza, promuovendo la pace professata dal movimento Rasta, abbracciato da Marley già dall’età di 18 anni.

Il pacifismo, però, non gli impediva di difendersi: per proteggersi dal bullismo imparò diverse tecniche di autodifesa, arte in cui eccelleva.

 

 

“Non abbiamo istruzione, solo ispirazione. Se fossi stato istruito sarei un idiota”.

Nel 1966 conobbe sua moglie Alpharita Costancia Anderson, da cui ebbe tre dei suoi tredici figli.

Le sue canzoni erano piene di amore, uguaglianza e pacifismo; il grande successo arrivò nel 1975, quando si impose sul mercato internazionale con “No woman, no cry“, che rimarrà nel tempo il suo più grande successo.

Morì a causa di un melanoma partito dall’alluce destro e non perfettamente curato a causa di motivi religiosi; poco prima della dipartita, Bob parlò con tutti i suoi figli e rivolse le ultime parole al figlio Ziggy Marley: “Money can’t buy life“, ovvero “I soldi non possono comprare la vita”. Nel 1981 ci lasciava il re del reggae.