È il 1986: i Pet Shop Boys pubblicano la canzone “Paninaro” dopo aver visitato Milano, mentre il film “Italian Fast Food” fa il suo debutto nelle sale.
Enzo Braschi, nella trasmissione “Drive In”, ne fa la parodia e, nelle edicole, compare una serie di fumetti intitolati “Paninaro”, “Wild Boys” e “Cucador”.
Questo è il tempo. Il tempo dei Paninari. Sono ovunque, eppure, in pochi anni, il fenomeno sfuma. Cade il muro di Berlino, la politica italiana si trasforma con Tangentopoli.
I paninari hanno rappresentato uno stile costoso che ha contraddistinto una generazione intera: Timberland, jeans Levis 501, cintura El Charro, camicia Armani, giubbotto Moncler, zaino Invicta, borsa Naj Oleari. I figli degli anni ’80 hanno rappresentato la cultura di un’epoca.
Nel cuore delle città, il sabato pomeriggio, i ragazzi si riunivano: da un lato quelli politicamente di destra, dall’altra quelli di sinistra, una divisione alimentata dai movimenti studenteschi del ’68 e, con la fine degli anni di piombo, del terrorismo e della Guerra Fredda, la decade degli ’80 inizia a prendere forma.
Negli States, Reagan diventa Presidente in carica, mentre in Russia prende vita la Perestroika che segna la fine delle vecchie ideologie. In Italia, i socialisti di Craxi si affacciano al governo e Berlusconi fa il suo ingresso nelle televisioni, mentre il neocapitalismo si diffonde e l’individualità prevale sul collettivo.
L’origine dei paninari è avvolta nel mistero tra realtà e mito, ma il loro impatto è grande!
Si vestono tutti nello stesso modo: i marchi sono prestigiosi e loro sono giovani rampolli della borghesia milanese in cerca di una nuova identità.
Con il walkman, i paninari ascoltano il pop, leggero, ballabile, discutendo di Duran Duran e Spandau Ballet; parlano con anglicismi e slang; scelgono di mangiare nei primi fast-food, come Wendy’s e Burghy.
Dietro le apparenze, tuttavia, la società si interroga: c’è qualcosa di più in loro?
I cronisti dell’epoca, microfono alla mano, chiedono se appartengano a qualche partito, ma non ottengono risposte: non è importante la politica.
La loro unica preoccupazione è divertirsi in compagnia, indossare abiti firmati, accaparrarsi ragazze alla moda, sfrecciare su moto e auto.
Solo pochi anni prima, alla stessa età, avrebbero lottato per un ideale e per un mondo migliore, ora no. Ora si vive la “Milano da bere”, tra yuppie e glam televisivo delle soap opera, di Dallas e Dynasty, in un’Italia desiderosa di superare il passato per abbracciare un futuro moderno, inseguendo il sogno americano.