di Beatrice Silenzi

Ci sono film che entrano nel cuore del pubblico e ci restano per sempre, e Non ci resta che piangere (del 1984) è senza dubbio uno di questi.
Diretto e interpretato da due giganti della comicità italiana, Massimo Troisi e Roberto Benigni, il film è un’avventura surreale che mescola storia, risate e poesia, in un’epoca cinematografica in cui il cinema italiano sapeva ancora stupire con l’irriverenza e l’intelligenza della sua commedia.

La trama è tanto semplice quanto geniale: Saverio (Benigni), un maestro elementare un po’ pedante, e Mario (Troisi), bidello e sognatore, si ritrovano per un bizzarro scherzo del destino catapultati nel Quattrocento, senza alcuna spiegazione.

La loro avventura inizia in un piccolo villaggio toscano nel 1492, proprio l’anno in cui Cristoforo Colombo sta per scoprire l’America. Con la consapevolezza di trovarsi nel passato, i due cercano di adattarsi al nuovo contesto storico, dando vita a una serie di episodi esilaranti, tra incontri improbabili e tentativi di influenzare il corso della storia.

Uno degli aspetti più affascinanti del film è il suo stile narrativo anarchico e improvvisato, che riflette il talento dei due per il teatro e la comicità spontanea. Molte scene, infatti, furono girate lasciando spazio all’improvvisazione, creando momenti di culto che ancora oggi vengono citati dai fan.

Celeberrima la scena in cui i due protagonisti cercano di fermare Cristoforo Colombo con una lettera accorata: “Amerigo Vespucci gli fregherà il nome!” o il tormentone “Ricordati che devi morire!” accolto da Troisi con una disarmante leggerezza: “Sì, sì, mo’ me lo segno…”.

Ma dietro la comicità e la spensieratezza, il film nasconde una riflessione più profonda: il tempo come dimensione inafferrabile, il senso di smarrimento di fronte all’ignoto e l’impossibilità di cambiare il destino. Saverio e Mario tentano invano di usare la loro conoscenza del futuro per trarne vantaggio, ma ogni tentativo si scontra con l’assurdità delle circostanze, regalando spunti di satira sociale che ancora oggi risultano attuali.

Un’altra curiosità è che il film, pur essendo ambientato in Toscana, venne girato in Umbria e Lazio, tra Civita di Bagnoregio e il Castello di Torre Alfina. Nonostante il successo al botteghino e l’amore incondizionato del pubblico, il film è stato spesso sottovalutato dalla critica, che lo ha considerato un film “minore”, dimostrando invece che l’umorismo, quando è autentico e ben costruito, è davvero senza tempo.