Quando, nel dicembre del 1989, la Fox mandò in onda il primo episodio ufficiale de I Simpson, pochi avrebbero scommesso sul futuro di quella famiglia gialla, dai contorni volutamente grossolani e dall’umorismo corrosivo.
In realtà, la serie animata creata da Matt Groening avrebbe presto conquistato il mondo, diventando non solo un fenomeno televisivo, ma un punto di riferimento culturale capace di influenzare linguaggio, politica, satira e perfino la filosofia pop.
La grandezza de I Simpson sta nella sua capacità di universalizzare il particolare. Springfield non è una città reale: non si sa in quale Stato si trovi, e ogni indizio sembra smentirne un altro.
Ma proprio questa indefinitezza la rende un simbolo: Springfield è l’America intera, e al tempo stesso il mondo.
Ogni personaggio della città rappresenta un archetipo: il signor Burns, capitalista senza scrupoli; Krusty il Clown, simbolo del cinismo dello show business, il preside Skinner, burocrate frustrato, Apu, stereotipo dell’immigrato che cerca di sopravvivere al sogno americano.
La forza della serie risiede nella satira.
Homer è l’antieroe perfetto: pigro, avido, incline agli errori, ma al tempo stesso capace di gesti di sorprendente umanità.
Marge rappresenta la coscienza morale della famiglia, spesso costretta a fare i conti con le disavventure del marito.
Bart è il ribelle senza causa, mentre Lisa, con la sua intelligenza e sensibilità, dà voce alla critica progressista e spesso solitaria.
Maggie, muta ma presente, diventa simbolo di un futuro che osserva in silenzio.
Negli anni ’90, I Simpson divennero un fenomeno planetario.
Merchandising, videogiochi, fumetti e perfino un film cinematografico nel 2007 consolidarono la loro fama. Ma il vero successo fu culturale: la serie cambiò il modo in cui l’animazione veniva percepita.
Prima dei Simpson, i cartoni animati erano considerati intrattenimento per bambini. Groening dimostrò invece che il linguaggio dell’animazione poteva affrontare temi adulti, complessi, politici.
Tuttavia, una serie così longeva non poteva evitare critiche. Molti fan e critici ritengono che le prime stagioni, in particolare dalla terza alla decima, rappresentino l’apice creativo della serie.
Dagli anni Duemila in poi, però, la qualità sarebbe calata: trame meno incisive, umorismo più forzato, personaggi meno coerenti. Alcuni parlano di “zombie Simpsons”, ossia di una serie che continua a esistere per inerzia, senza la brillantezza originaria.
Uno degli aspetti che ha alimentato la leggenda dei Simpson è la loro capacità di “prevedere il futuro”. Nel corso degli anni, episodi satirici hanno mostrato eventi che poi si sono verificati davvero: dalla presidenza di Donald Trump a invenzioni tecnologiche come lo smartwatch o il traduttore automatico.
Queste “predizioni” non sono in realtà frutto di magia, ma della capacità degli autori di cogliere tendenze sociali e politiche in atto, portandole all’estremo in chiave comica. Ciò conferma quanto la serie sia radicata nella realtà.
Oggi, tra piattaforme streaming e repliche infinite, la serie continua a essere vista!





